venerdì 18 settembre 2015

vita



 
In altri tempi, quando si doveva spiegare a un bambino il mistero della Vita che diventa altro, occorreva sedersi davanti a lui, tenendone le mani.
Gli si raccontava di quei momenti in cui le persone, trascinate lungo la vita da passioni, sentimenti, errori, arrivavano esauste al luogo in cui ogni forza era consunta, come un colletto inamidato rigirato troppe volte. Giunto nelle mani della Signora, che sino a quel giorno, ogni volta aveva trovato il modo di riprendere, rabberciare, ricucirne il bordo. Ma che quella volta, con sguardo pietoso, lo restituiva. Non per gettarlo via, ma con la preghiera di farne buon uso, inventandone una nuova vita. Magari non indosso, ma in un cassetto a cui ricorrere per le necessità della casa.
Ho pensato a questo, mentre viaggiavo sulla strada del ritorno a casa, guardando le campagne dalle vetrate di un pullman, come da studente.
L'ho pensato perché lui non era esausto. Non lo era mai stato, neppure da giovane. E sono sicuro che anche stavolta, come sempre, ha deciso lui.


 

nero





Qualcuno dovrebbe iniziare a dirlo. Qualcuno dovrebbe iniziare a raccontarlo. Di quella grande costruzione emersa nel punto in qui sparisce la nebbia della pianura. Confine tra i possedimenti di Lord Piercy e le paludi delle zanzare. Tra le ultime chiudende del marghine e i resti che furono dei vescovi sterminati dalla malaria.
Mio fratello ritiene che a nessuno, ormai, possa interessare la storia di quella stazione. Che non ci siano più, le anime libere disposte a sentire l'emozione di quella signora magra e alta. Che ci sia in giro alcuno capace di ascoltare le sensazioni di un ragazzino
Mio fratello più piccolo crede che nessuno voglia conoscere chi sia stata e cosa sia ora, quella donna vestita di nero.
Si, perché da noi, ogni mistero è vestito di nero. Ogni storia che si nasconde dietro a una sconosciuta, dev'essere una storia che non può avere altro colore, se non quello del lutto. Al più, talvolta, si può aggiungere il rosso vinoso del sangue dei Miserabili. Raramente quello più vivo dei nobili decaduti, delle maestrine romantiche o del generale Lutzu.
Eppure ci sarà un motivo se per lui, quella stazione a scartamento ridotto, oggi non è fatta di binari, né di vecchi vagoni di legno pitturato trenta volte di grigio. Ci sarà un insegnamento, come dice la mia maestra di San Vero, se fra tutti i ricordi di ragazzzino, lui racconta di quella signora alta. Alta come lo sono tutte le donne, agli occhi di un dodicenne. Forte, come lo sono tutte le donne agli occhi dei cinquantenni. Lui, di quella stazione, cerca inutilmente l'unica cosa che sa di non trovare. Muri scoloriti e intonaci scrostati. Doppie porte scardinate e senza neppure più voglia di cigolare. Ogni cosa è ancora al suo posto. Come i soliti vecchi delle piazzette di paese. Che trovi al solito posto, soltanto più decrepiti. Lui cerca inutilmente quel telefono, inchiodato al muro della porta del capostazione. Troppo in alto per un dodicenne.
E anche se non lo ammette, penserà che è un vero peccato non trovarlo ancora appeso. Adesso che ha l'altezza giusta, per guardare da vicino e toccare quel telefono. Nero. Come gli abiti della signora che aspettava i treni.
Scomparso anche lui, senza avere potuto far sentire la sua voce. Senza avere raccontato quella storia.




 

perso





È una giornata importante. Vestito bene. Pantaloni blu, maglietta rossa con scarpe abbinate. Non mi devo sporcare il vestito nuovo. Non devo giocare con la terra. Devo stare attento a non cadere.
Non sono stato bravo. Non ho mantenuto la promessa. Ma non sento le urla di mia madre, ora che sono sporco di sabbia, bagnato fradicio fin dentro i miei piccoli polmoni. Ora che sono riverso addormentato sulla spiaggia di fine estate. Perso

io & io


Credo che sia così. Ci passi davanti, con un paio di scarpe vecchie, magari di una misura più grande. Con indosso una camicia dai polsini e dal colletto consumati. Pantaloni con l'orlo grattato via dallo strisciare per terra. Davanti al piccolo negozio, pieno di quei dolci che hai sempre sognato. Come nei racconti di Dickinson. Lì vedi e stai lì a guardaré, anche sapendo che non sono tuoi. E gli spiccioli del taschino, non bastano. Credo che sia così, oggi.
 
 
La lista della spesa di oggi: "Passare da brico e comprare un kit". Per farmene una ragione.
 
 

Mi faccio una foto con il telefono. Ci metto sotto una scritta: "scomparso". La guardo con attenzione per non perderne alcun dettaglio. Poi uscirò a cercarmi.
 
 
Ecco, oggi un vicepreside in pensione, mi ha spiegato un pezzo di vita. La differenza tra essere primi della classe ed essere seduti al primo banco. Non è la stessa cosa, in effetti.
 

Ecco. Ci sono cascato. Ho messo un paio di cuffiette auricolari. Ho piazzato il telefono sulla scrivania, poggiato sulla tastiera del pc. E con i gomiti sul tavolo, tengo la testa poggiata sulle nocche delle mani. Guardando Nek, mentre canta la mia canzone preferita, scritta da Maurizio Costanzo. Non pensavo che Maurizio Costanzo sapesse tutte queste cose. E non sapevo che due auricolari neri, conoscessero così tante cose di me. E così che ci casco. Sempre. Spero che Nek non rida troppo di ne.


Come sa bene, chi mi conosce da tempo, un paio di volte l'anno rinuncio alle mie originali scemenze e riporto qualcosa che non è mio. Ma che avrei voluto tantissimo avere scritto io stesso.
Oggi spetta a Piergiorgio Paterlini.
"Il valore del tempo; la bellezza impagabile della vicinanza a qualcuno nel lungo scorrere del tempo, molto più importante, molto più umana, molto più "famiglia" di qualunque fedeltà moralistica, svilita a ruolo di pura monogamia sessuale"

 
  
A me, i sogni restano attaccati, vividi.
Come la colla densa e bianca che usavano i vecchi falegnami.
 
 
Due pensieri di ferragosto, postumi.
1) Vedo tutti quelli che si fanno le foto con il cellulare. In un futuro remoto, gli archeologi di altre galassie, vedendo gli antichi documenti fotografici, si chiederanno se la nostra civiltà si sia estinta a seguito di una misteriosa epidemia, che produceva una paresi del volto, con un'abominevole espressione facciale, ben visibile nel loro viso.
2) Guardo il tg di ferragosto. Ma oggi, le giornaliste che conducono i telegiornali, se non sono enfisematose, non le vogliono?



Credevo di essere capace di fare una semplice operazione, per conoscere la mia età. Poi mi sono scoperto a sbirciare continuamente un piccolo cerchietto sul telefono. Le notifiche di whats app.
 



A volte la vita è strana. È come se, avendo gareggiato dando tutto te stesso, fossi arrivato primo. Poi ti informano che ti sei scordato di iscriverti e quindi non hai diritto a salire sul podio.
 
 
Questo vento così caldo, soffia così forte su ogni cosa. Come se volesse prosciugare ogni goccia d'acqua. Evaporare ogni lacrima caduta al suolo. Indifferente che sia di dolore o di gioia.
Forse è per questo che le donne del deserto, si coprono il capo, lasciando intravvedere gli occhi nel'ombra.


Ci sono persone che ci emozionano quando ci sono accanto.
Altre, invece, capaci di farlo quando ancora le aspettiamo.



"Le parole sono cose vive. Pesanti. Che ti possono spaccare la vita." (Roberto Vecchioni. due minuti fa)(un giorno d'agosto)
 

amore & alcool (entrambi rovinano i neuroni)

 
Ora che iniziano le scuole, mi capita di vedere ragazzini che scelgono i quaderni. Righe e quadretti, ma soprattutto le copertine, che mi fanno ricordare quelle dei quaderni della seconda media. Quelle di astronomia, che parlavano di altri mondi lontani. Mondi così lontani e diversi dal nostro. Dove il tempo non corrisponde a quello della terra. Dove un minuto vale un'intera giornata. Un pomeriggio corrisponde a una stagione. Dove un bacio sembra non finire mai. Forse, quei quaderni avevano ragione.
 
 
I nostri ragazzi crescono, guardando alla tv storie in cui all'inizio, gli uomini dicono sempre alle donne "ho capito che avrei perso, dal primo momento che ti ho visto". Alla fine le donne dicono "non posso".
E così i ragazzi immaginano il loro futuro. Preferibilmente senza donne.
 
 
Stamattina, fate una cosa ben fatta. Aprite il cassetto. Spalancate lo sportello. Tirate fuori la scatola di cartone. Rovistate accuratamente fino in fondo. Scegliete un amore. Non importa che sia vecchio, consunto, passato, consumato. sperato, desiderato, mai arrivato, o che sia ora e adesso. Tiratelo fuori, spolverandolo, se necessario. Ma portatelo con voi, oggi. Fategli vedere il vostro mondo. E voi, guardate la vostra vita con i suoi occhi.
 
 
Ti sente, ma non ti ascolta. Ti parla, ma non è con te che sta parlando. Non è uno degli enigmi della Sfinge. È soltanto un pensiero. Che occupa ogni spazio. Vicino o lontano che sia.
 
 
Ci sono amori che finiscono quando ci si accorge che lei è bellissima.
 
 
 
Dovrei dedicarmi a cio' che è importante. Come, per esempio, ritrovare i segni del tuo amore.
 

Continuo ad amarla. Perché nasconderlo? Fingere un distacco, una freddezza, che sono pallida imitazione del suo tiepido gelo. Questo è il mio vero dolore. Profondo.


Talvolta si desidera un corpo e si cerca a chi appartenga. Io lo desidero, perché so a chi appartiene.
 
 
A chi ti trova semplicemente bella, tu rispondi che sei normale. Allora, io non ti troverò bella. Neppure normale. Ti troverò. Semplicemente
 
 
A volte, ci si trova a seguire la flessuosita' di un corpo. Altre volte, invece, ci si perde a seguire le flessuosita di un cervello. Incontrare entrambe queste cose, significa perdersi e ritrovarsi continuamente.
 
 

Lo specialista mi ha prescritto delle minuscole compresse. Da dividere con cura amorevole in due pezzi. "È un farmaco nonsocchenergico", mi ha detto.
Sarà... Eppure mentre ti parlo, guardandoti, giorno dopo giorno, mi convinco sempre di più che quelle pastigliette, in realtà, siano un filtro d'amore. Sbadato.
 
 

Classificazioni.
Ci sono storie che sembrano non avere fine. Sono le storie senza una coda. Altre, sono storie di cui non riusciamo a capire dove siano iniziate. Sono le storie senza capo. Poi ci sono storie che non hanno un esatto principio e di cui non c'è mai fine. Storie senza capo né coda.


Chissà come cominciano quelle storie dei film.
Chissà come fanno a diventare così complicate, così forti e piene di passione.
 
 
Gino Marielli sa fare bene il suo mestiere: "Duos ojos che resolzas lughentes".


viaggiatori viaggianti

 
 
 
Dicono che i soldati feriti in battaglia, a cui amputavano le gambe, continuassero a sentirle, come se le avessero ancora. Lamentandosi persino del dolore all'arto che non c'era più.
Io ricordo che da ragazzino, rientrando la sera dal mare, stavo accucciato sul sedile posteriore di similpelle blu della Fiat 128. Tenevo il finestrino abbassato, ma non del tutto. Lasciavo aperta solo la parte superiore, giusto all'altezza della fronte e mi mettevo vicino al bordo, per sentire l'aria fortissima dei settanta chilometri orari. Prima che le curve e i tornanti della valle di Marreri, ci facessero boccheggiare a 15 all'ora. Era bellissimo sentire l'aria scontrarsi fortissima con il mio viso e spingere all'indietro i ciuffi dei miei capelli. Come se qualcuno li tirasse con ardore.
Stasera, complice il condizionatore scarico della 159 di Daniele, sono riuscito a rifarlo. Ed è stato bellissimo. Esattamente come allora. Ed è stato come per quei soldati. Ho sentito i miei capelli tirati all'indietro, sulla pelle strofinata dal vento caldo.  Proprio come fossero ancora lì.
 

Vorrei chiedere al mio amico che guida, di andare più piano. Di rallentare, proprio qui, dove la strada diventa più larga. Dove tutto, di giorno, appare completamente diverso da una sera d'inverno.

 
Vasco Rossi alle otto del mattino.
Una vita spericolata sulla vecchia strada statale Macomer-Nuoro.
Una vita in cui ognuno è perso dietro i fatti suoi.
Una vita niente Roxy, ma molto Iffurcau.
Una vita piena di guai.  Purché possiamo sceglierceli prima.
 

Passeggero della vita. Comodamente seduto sul sedile posteriore.  Il vantaggio di vedere i miei compagni di viaggio. Di osservarli nel profondo dei loro particolari, senza essere visto.  Di stare da solo quando mi va.  Di non preoccuparmi della strada che ho davanti.  Tranquillo, nel piegare il capo, per guardare ciò che agli autisti è proibito da sempre: la campagna che scorre di lato.  Libero di pensarti e di scriverti, senza essere interrotto da incroci, cartelli, camion ingombranti, cantieri imprevisti.  Prima o poi tornerò a guidare e non sarò più passeggero della vita. Però, adesso, lasciatemi guardare il cielo dal tettuccio trasparente.