MILANO CENTRALE
Una volta, ho letto che gli "occhiali rosa", che mettiamo in certi periodi della vita, modificano veramente tutto ciò che vediamo intorno a noi, rendendolo diverso, almeno ai nostri occhi. Trovo di un fascino imbarazzante, persino il groviglio di fili, pali, luci e cartelli, che si intrecciano allo sguardo, mentre esco dalla stazione di Milano, e mentre cerco di immaginare cosa fossero, quelle vecchie stazioni con le loro tettoie disegnate e forgiate. E così, nel tempo che impiego a scrivere i miei pensieri ferroviari, alzo lo sguardo nuovamente, per scoprire di essere già alla piccola stazione successiva. Lambrate. Dove niente parla di ciò che era. Solo presente. Solo un momento di passaggio. Nulla che chieda per sé, un briciolo delle mie emozioni. Tutte ferme lì. A Milano. Impigliate nel groviglio di fili, pali, luci e cartelli.
ROGOREDO
Chissà perché, mi sembra che le ragazzine e i ragazzini di Piacenza, mi appaiano meno "belli" di quelli che puoi incontrare a Bologna. Anzi, quando il treno si ferma alla stazione di Rogoredo, ti sembra che le ragazzine e i ragazzini, che salgono in direzione Bologna, siano già più belli, più felici.
LODI
É come se questa terra, volesse fare una promessa. Farmi vedere, in questo anticipo di sole, come potrà essere la primavera, nella pianura piatta. Dove risaltano quelle fattorie. Bellissime. Non puoi dire di avere mai visto una fattoria, se non hai visto brillare quei casali, delineati da una striscia piatta alla base, e dagli alberi alti e spogli nella verticale. Come i disegni a china, che mi facevano fare da ragazzino.
PIACENZA
Mi piace lasciare lo scompartimento, un quarto d'ora prima dell'arrivo. Lascio il suono ovattato della prima classe, per sentire il rumore del vagone, che scorre sui binari. È un suono più adatto al panorama della pianura, che scivola dai finestrini.
"Potresti mancarmi. Senza nessun altro motivo, che non sia la curiosità di scoprire."
lunedì 27 febbraio 2012
mercoledì 15 febbraio 2012
bianca & fine,fine,fine
Il mio primo ricordo della neve, è un cortile imbiancato. E' anche il mio primo pupazzo, bianco e altissimo, come può esserlo per un bambino di 4 anni. Una gigantesca palla di neve, con gli occhi di pietra e un rametto per sorridere. Un cortile tutto bianco, se non per il nero degli abiti di mia nonna. E' strano che tra i ricordi di quella nevicata, non ci sia il ricordo del freddo. Tutte le giornate di neve, dovrebbero essere fredde, anzi freddissime.
Una mia amica, sostiene che la neve sia bellissima da guardare, ma troppo fredda per giocarci. Io non riesco a crederci, perchè da sempre, me l'immagino vestita di nero, rotolare in mezzo al bianco di un giardino d'inverno. Sono sicuro che se ci provasse, non smetterebbe più, fino a ritrovarsi ferma in mezzo agli alberi, distesa, a sorridere. Credo che gli alberi non smetterebbero di guardare il sorriso da bambina, felicemente perduta nella neve. E magari, qualche fiocco di neve, scenderebbe a baciarla.
Perchè certe nevicate, sono diverse dalle altre. Ci cammini in mezzo, e sei sicuro che quei fiocchi non ti bagneranno. Non resisti a infilare i tuoi scarponi in quella morbida nuvola bianca. Non puoi evitare di dare la forma a una gigantesca palla di neve, con gli occhi di pietra e un rametto per sorridere.
Perchè certe nevicate, sono diverse dalle altre e tu, devi solo evitare di guardare il riflesso nelle vetrine, per non scoprire che ora, sei più alto del tuo primo pupazzo di neve.
giovedì 9 febbraio 2012
alberi e biciclette
Ho deciso che, ogni tanto, cioè quando sarò dell'umore, tirerò fuori le storie, che mi vengono in mente, di quella che fu l'età dell'oro, per un paese che si trova esattamente all'incrocio dei pali. Credo che li chiamerò "Storie di Petrolchimica"
Il primo di questi ricordi, ho deciso di chiamarlo "Alberi e biciclette. Ovvero: di come la bicicletta Graziella di Gianlucio, finì sopra l'albero piu' alto della piazza San Nicolò". Un mistero che nessuno ha mai svelato. Gelosamente custodito dall'esecutore, o esecutori materiali. Perchè non si è mai saputo neppure se, chi avesse portato a termine quella fulminea operazione, fosse da solo o una vera associazione a delinquere, ....pardon "ad appendere". Ricordo ancora chiaramente, quella splendida fusoliera rossa fiammante, con i cerchi scintillanti alla luce delle prime lampade a fluorescenza, della piazza di fronte alla chiesa. Stava lì, beatamente galleggiante, sulle fronde dell'alberello, disposto in mezzo allo svincolo, nella posizione migliore per poter essere ammirata, da ogni angolo della piazza. Chi passava, in quella serata di fine maggio, ma anche chi si era posato distratto sulla panchina, senza farci caso, impiegava diversi minuti a riprendersi dallo stupore. Ammaliato da una visione inaspettata. Incredulo di quella situazione che sembrava sfidare la fisica. Come per le piramidi egizie, per le pietre di Stonehenge, o per i meno universali nuraghi, nessuno riusciva a trovare una spiegazione ragionevole, sul metodo utilizzato per il posizionamento del trabiccolo, nella parte piu' alta e irraggiungibile dell'albero. Nè tantomeno, a quei tempi, si conosceva alcun esperto lanciatore di biciclette, che fosse dotato di tale millimetrica precisione. L'unico virtualmente capace di tali lanci, era Donatello. Ma lui lanciava pietre. Una bicicletta non sarebbe stata alla sua portata. Senza contare, oltre alla rapidità di esecuzione e all'assenza di testimoni, anche l'audacia della sfida a un ribollente proprietario, certo di avere individuato il responsabile con precisione, pur se con una approssimazione di circa cento nomi di indiziati. Credo che, se per caso, quella sera, qualcuno avesse visto turisti americani passare, per andare verso Fonni, oggi avremmo una leggenda metropolitana in più. Nessuno avrebbe resistito a dire che, forse, probabilmente, anzi, sicuramente, Steven Spielberg, nell'immaginare la scena di E.T. che passa davanti alla luna volando su una bici, aveva visto la graziella rossa, appesa a un albero, nella piazza di un paese vicino alle ciminiere. Ma solo se fosse passato quella sera di fine maggio. La mattina dopo, infatti, così com'era apparsa, la bici rossa, non c'era già più. E il barista, che stava di fronte, nella piazza, continuò a giurare che nessuna scala si fosse avvicinata. Nè prima, nè dopo. Nè mai più.
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