mercoledì 25 gennaio 2012

i conti di erre

Oggi facevo un po' di conti. Sono quel genere di conti che "non ti tornano mai". Forse perchè preferiamo non vedere il risultato dell'operazione. E forse perchè, a differenza della matematica tradizionale, in questi conti, non sai mai che tipo di operazione stai facendo. Conosci i numeri che usi, ma non sai se stai sommando, sottraendo, dividendo o moltiplicando. Niente di niente. Devi fare come nei quiz televisivi, quando non sai la risposta: ti butti.  Ti devi buttare.   Ti dovresti buttare.
E mi viene in mente l'Ikea.   Io non sono mai stato dentro un negozio dell'Ikea. Mia cognata me ne parla sempre. Ogni tanto avanza anche un embrione di proposta indecente: "perchè non ci organizziamo e andiamo tutti all'Ikea?" Lo fa, come la mia vecchia zia, che ogni tanto, propone un viaggio assieme, per andare a trovare i cugini emigrati in germania dal 1965, che non vede dal ferragosto del 1979.
"Ma davvero, per andare a vedere un centro commerciale, saresti capace di caricare figli e masserizie in macchina? Arrivare al porto di Olbia, farti la nottata in cuccetta con il rumore dei motori, che ti fa sognare di essere in fuga, sul treno a vapore inseguito dai banditi?"
Mi dispiace. Avrò sicuramente qualche altra occasione, per acquistare i cuscini per divano a 99 centesimi.
L'ikea mi è venuta in mente, pensando a cosa accadrebbe, se ci fosse un mobiletto da montare e non avessi uno di quei foglietti che, per quanto incomprensibili, mi danno un'idea di "cosa" sto cercando di montare (sul "come", ho rinunciato già da tempo:  da quando ero studente universitario e per completare un armadio a due ante, ho impiegato tre stagioni della mia gioventù).
Ecco.  I "conti che non tornano", sono più o meno così.
E così, come dicevo all'inizio, preferisci non finire il conto, perchè hai paura che il risultato non sia quello che vorresti.  Quello che, pure se non l'hai espresso, non sia quello che desideri.  E ti prendi un vantaggio, anche sul Destino: neppure lui saprà mai se ti abbia fatto lo sgambetto, o un regalo bellissimo e inaspettato.
Insomma, oggi non andrò all'ikea. Preferirei andare da un'altra parte, ma alla fine, so che starò qui. Fermo, immobile, a sbagliare tutto, per conto mio.
Ah! Se vi interessa, l'ultima volta, che ho visto uno di questi conti,  ho scoperto che non trovavo il risultato di 165x55=9075.

lunedì 23 gennaio 2012

angeli d'inverno


C'è un angelo.   Che sta sempre con me.
Ogni tanto ne vedo l'ombra.
Mentre passeggio per un viale freddo e nebbioso,
sotto le luci gialle.
Ma lui è peggio di me, anzi, è come me.
Si nasconde agli occhi di chi vuole bene.
Fugge invisibile, dallo sguardo
che lo vorrebbe stringere a sè.
Sa che lo immagino diverso.
Ma non sa che lo ritrovo in un viso
d'angelo, disegnato in un foglio d'ottobre.

("Delirava stento" "Qua specchiava"  di Ada Negri)

lunedì 16 gennaio 2012

cartelli

Credo che, se le ferrovie volessero iniziare a risparmiare davvero, secondo me ,dovrebbero spostare alcune tratte ferroviarie. I treni non dovrebbero più passare in certe stazioni.  Ad esempio, basterebbe non passare a Casalpusterlengo, e già si potrebbe risparmiare sui tre cartelli che in ogni stazione, ci fanno sapere dove ci troviamo. L'altro giorno, mentre il treno si fermava e io iniziavo appena a leggere il nome della stazione, il convoglio era già ripartito. Di norma, i cartelli (quelli rettangolari, azzurri, con la scritta bianca) sono larghi circa un paio di metri. Quello di Casalpusterlengo, sembrava lungo come la salsiccia fatta a buddusò per partecipare al guinnes dei primati. Insomma, un consumo inaudito di alluminio. E non si può neppure pensare di abbreviarlo. Non è come scrivere S.Teresa Gallura, anzichè S-a-n-t--a T-e-r-e-s-a di G-a-l-l-u-r-a.  Mica si può scrivere "Casal P.", oppure "C.Puster.", "C.P.Lengo" o ancora "Casal.go", come si fa nelle lettere, dove Illustrissimo, diventa un improbabile Ill.mo (che cosa ci si risparmi, poi, fatemelo sapere).  Tantomeno, si può fare come in alcuni paesi dalle parti di Sebastiano Satta, dove le abbreviazioni dei nomi delle località, sono piuttosto decise. "OSSANA" diventa "O**AN*",  "OROPELLI" diventa "OR*PE**I",  "SINISCOPA" diventa "S**IS**P*", e così via.  Dov'è il risparmio, mi chiederete?  Non sulla lunghezza del cartello, certamente.   Ma pensate a quanto alluminio in meno c'è nei cartelli, con tutti quei   (asterisco)buchi......

giovedì 12 gennaio 2012

giustizia divina

Ci sono giornate in cui non mi voglio troppo annoiare. Se poi devo parlare di argomenti potenzialmente noiosi, la cosa diventa improponibile, per il mio carattere. Allora, sfodero il mio repertorio di "storie" (se andate a cercare nelle note precedenti, troverete un'altra citazione). Talvolta sono storie vere che sembrano inventate, altre volte sono storie  talmente inventate, che somigliano perfettamente a quelle che ognuno di noi ha vissuto.  Sono delle pause leggere, che mi consentono di non dormire in piedi e di non fare russare troppo fragorosamente, gli uditori.  Certi argomenti, in effetti, non sono il massimo. Provate a pensare, se vi capita un argomento come "ergonomia e movimentazione manuale dei carichi, nell'eziologia della lombosciatalgia". Praticamente siete morti. Peggio della pozione di Frate Lorenzo, che fece adddormentare Giulietta. Così, quando mi è capitato, ho tirato fuori una delle figure che più mi ricordano l'adolescenza paesana. Tutti ricordano ancora i bar delle piazze di paese. Quelli con le sedie di metallo cromato e braccioli e sedute intrecciati con un tubicino di plastica sottile, di colori fluorescenti. E tutti ricordano l'occupante abituale di quelle sedie. Il belloccio del paese. Capello fluente. Fisico prestante. Abile calciatore. Capo cannoniere del torneo bar. Percentuale di occupazione della suddetta sedia e del suddetto bar, di entità inversamente proporzionale alla sua presenza, presso il locale sportello dell'ufficio di collocamento. Per non parlare della postura inconfondibile. Seduto di sghembo, in modo da poter mollemente posare il retro del ginocchio, su uno dei braccioli, facendo così penzolare l'anca all'esterno del lato della sedia. E come non ricordare, al passaggio dell'amico, del conoscente, o del semplice paesano, l'altrettanto molle alzata di braccio, controlaterale alla gamba, per un benevolo e affettuoso saluto.  Un cenno, quasi misericordioso, per chi, della vita, vedeva solo le fatiche e le quotidiane sofferenze. Un vero filosofo, del vero otium originario. E poi... c'era lei. La bella, alta, candida, profumata, misteriosa, affascinante, ricca, benestante, figlia unica. Il miglior partito del paese. Nei desideri, confessati o meno, di ogni giovanotto del paese. Lei passava gli anni dell'adolescenza e dei primi rossori della gioventù, a catalogare, selezionare, scegliere. Le amiche. Il primo amorino delle scuole medie. Il primo tentativo di legame impegnato. Poi, come sempre, dalle mie parti, arrivava il carnevale. E con la quaresima iniziavano le voci sommesse. E quelle voci diventavano suono di campane pasquali, nell'annunciare il fidanzamento dell'anno (si, proprio quello di cui tutti possono parlare). Lui. Si, proprio lui. Dino. Gino. Lino. Tino. Pino. Mai che avessero nomi lunghi da imbranato. E noi imbranati, a chiederci perchè non ci sia una giustizia divina, che impedisce queste ingiustizie cosmiche, che danno tutto a chi ha già tutto.  Fidanzamento in piena regola. Matrimonio in piena regola. A denti stretti, forse. Con lussuosa dote, comprendente corredi multipli, tegami delle zie, magione del nonno, mobilio dei bisnonni. E naturalmente, cerimonia sfarzosa, rigorosamente a spese della sposa. Ora,  vi chiederete, cosa mai possa c'entrare tutto questo con il titolo della premessa?   Ecco...vedete?  Arrivato e passato il giorno del matrimonio. Arrivata e passata la prima notte di nozze. Arriva il mattino del primo giorno di vita coniugale. Ed è in quel preciso momento che la mite, quasi arrendevole sposina, mostra il suo vero, dolcissimo carattere. "Tesoro. Questo comò della mia bisnonna....io credo che starebbe d'incanto, se fosse messo sulla parete di fronte alla finestra, e non sotto". "Vedi? Basterebbe spostarlo sull'altra parete". Così il nostro ex-scapolo-d'oro, non può tirarsi indietro, di fronte alla prima richiesta di dimostrazione di mascolinità, che lo renderà degno capo-famiglia. E così inizia l'opera di spostamento. Ed è in quel preciso istante, che accade l'inaspettato. Vorrei che poteste vedere le facce dei miei uditori, quando, a questo punto del racconto, attendo qualche istante in silenzio, e poi pronuncio  la mia frase ad effetto. "...Perchè  c'è una Giustizia Divina. Che si manifesta sotto forma di lombalgia acuta da sforzo. Quella che si chiama da tempi lontani, colpo della strega". Mi piacerebbe davvero farvi vedere le loro facce soddisfatte, per un mal di schiena che li ricompensa, come una piccola rivincita.

martedì 3 gennaio 2012

adelina e guendalina (l'origine)

In realtà, quando ho deciso di scrivere queste righe, da mettere nel blog, avevo l'idea di chiamare il tutto, proprio con questo titolo: "adelina e guendalina". Come ho scritto il 15 novembre, volevo iniziare proprio da questa prima teoria. E questa teoria inizia a Stintino.
Se, come capita a me in questo periodo, vi trovate a lavorare e vivere, in un posto fuori dalla Sardegna, il primo argomento di cultura e società, che vi toccherà affrontare, riguarderà quasi certamente, le meraviglie turistiche dell'isola. Purtroppo, avrete da subito un ruolo ingrato. Disintegrare la granitica certezza di alcuni, circa le dimensioni dell'isola di Sardegna, discretamente superiori a quelle di un  tipico atollo tropicale. Poi dovrete affrontare le facce stupite (perchè non ho idea di come sia un'espressione...basita) di chi vi sente bestemmiare: "io non so nuotare". Riuscirete a estorcere una mite condanna, con pietà collaterale, solo se avrete il coraggio e l'ardimento di precisare che siete nati in un posto equidistante da qualunque specchio acqueo marino.   In effetti io sono nato in un posto talmente lontano dalle spiagge, che per avere il mal di mare, non serviva andare in traghetto, ma bastava il viaggio in auto per raggiungere il porto d'imbarco.  Se tutto procede come previsto, in capo a una mezzora, vi troverete a spiegare che Stintino è un borgo caratteristico. Che la spiaggia della Pelosa è indubbiamente bellissima, e soprattutto che, tolta l'erosione dell'arenile, tolta la concessione demaniale zeppa di ombrelloni e sdraio, tolta la valanga umana che la occupa dalle 7 alle 7, conviene cambiare spiaggia. Anzi, bisogna decisamente cambiare orizzonte. Se avete un amico indipendentista, della Repubblica di Malu Entu, vi consiglierà, quasi sicuramente, la spiaggia di Mandriola, fronte edicola e bar (all-inclusive), dove l'acqua non ha nulla da invidiare alla cugina blasonata del capo di sopra.  Per gli altri, meno irriducibili, basterà fermarsi un pò prima del paese di Stintino, girando al piccolo bivio che porta  l'indicazione di "Pazzona".
Ecco. Ci sono arrivato. E' proprio dalla spiaggia di Pazzona, a Stintino, che parte la storia della teoria di Adelina e Guendalina, anche se in realtà ha origini più lontane.
In effetti la spiaggia di Pazzona, ha consentito quella che, tecnicamente, si potrebbe chiamare, la conferma sperimentale, dopo una prima fase di teorizzazione, e un successivo primo esperimento nelle spiagge di Scivu e di Putzu Idu.
Quando deciderete anche voi, che è arrivato il momento di dedicarvi alle scienze sociali, anzichè perdere tempo con la Nintendo-wii, provate a mettervi comodi e seguire, ad esempio in una spiaggia di  ombrelloni, le famigliole in arrivo. Prendete la mira, e individuate le mamme che operano sullo scenario di guerra di un normale arenile estivo. Poi, iniziate l'esperimento. Fateci caso. Ammirate la leggera soavità delle mamme che hanno solo figlie femmine (almeno 2), la loro grazia, il loro sguardo luminoso, dolce, premuroso, pieno di una gioia di vivere e di orgoglio, che non hanno pari. Sono mamme che quando devono richiamare la loro prole (femminile), usano solo vezzeggiativi, un tono di voce carezzevole, suadente: "... Adelinah...! .... Guendalinah...! ... suvviah... venite a bere qualcosah?" (la "h" finale, serve a darvi l'idea, impossibile per iscritto, dell'anelito amoroso che trasmettono nel richiamare le piccole).  A questo punto, vi occorre procedere alla seconda fase dell'esperimento. Individuate le mamme che hanno solo figli maschi (almeno 2). E' difficile descrivere quello che potrete vedere e sentire. Sono mamme provate da un'esperienza che tempra il carattere, che produce una sorta di mutazione genetica, senza interessare il dna. Ho pensato a lungo a come rendere per iscritto quello che a voce è più facile, ma se avete visto  qualche volta dei film, tipo "Platoon" o "Full metal jakets" capirete se vi dico che esse non sono più vere mamme, ma la trasformazione in sergenti dei marines. "U-g-o-o!!!!!....M-a-s-s-i-m-i-l-i-a-n-o-o-o!!!!!" - "fuori dall'acqua!! o vengo io a tirarvi fuori usando le vostre orecchieeeeeee!!!".     Forse non sarete d'accordo.  Devo ammettere che solo una volta ho avuto un dubbio, circa questa mia classificazione. E' stato nella spiaggia di Tancau, dove una mamma, stremata dalla mancanza di disciplina della figlioletta, dovette fare uso dell'ultima risorsa, dell'arma finale.   "Federica!!!  Se non la smetti, ti lego all'ombrellone con la tua treccia e non ti sciolgo fino al tramonto!". Ma era figlia unica.